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Il Parco dell'Appia Antica

IL PARCO DELL'APPIA ANTICA
Italia Nostra Roma, con questo intervento di Oreste Rutigliano, intende apportare le dovute correzioni ad un "racconto" del Parco, parziale ed ingeneroso, mettendo l'accento sulla gestione urbanistica e paesaggistica, che vedrebbe il Parco Regionale dell'Appia antica in totale crisi senza un Ente apposito.

Il Parco dell’Appia: in quale contesto storico va inquadrato
A Roma negli anni '80 e '90 ci fu una rivoluzione urbanistica.
Dal grande sparpagliamento dei quartieri si passò ad un nuovo ordine, che vide l’edificato contenuto entro le sponde e gli argini di grandi estensioni agricole e verdi.
Per consolidare tale intenzione e al contempo salvare, per sempre, monumenti, paesaggi e concrete estensioni di agricoltura e di campagna romana, destinata altrimenti a scomparire, si puntò decisamente sui Parchi Regionali. Le c.d. ”aree protette“, per le quali vige un sostanziale regime di inedificabilità, senza scadenze e senza corrispettivi finanziari, per chi ne risulti penalizzato.
Poco importa che la legge istitutiva metta in primo piano gli aspetti naturalistici, poiché di fatto è la salvaguardia urbanistica delle campagne e del paesaggio, come dimostrato dai lunghi contrasti politici che hanno anticipato la loro nascita, che sono atto distintivo di tali Parchi. Come detto, vere e proprie nuove strutture urbane.
Il Parco dell’Appia, da sempre sotto l’attenzione dei media, nacque già nel 1988 e nel 1996 venne inquadrato nella nuova disciplina della legge regionale sui parchi n. 29 del 1997.
Il Parco dell’Appia rappresenta dunque l’avanguardia delle aree protette all’interno della città di Roma o meglio dell’area metropolitana romana.
La sua salute, la sua attività, la sua sopravvivenza come Entità giuridica e politica si ripercuote su tutti gli altri Enti Parco dell’Area metropolitana.
Ogni attacco al Parco dell’Appia non può che suscitarci preoccupazione, proprio ora che tutti gli Enti Parco sono commissariati da 7 anni, nel tentativo di indebolirli,  e di ridimensionare le protezioni.
Si afferma spesso che esso non è altro che la duplicazione dei compiti assegnati dalla legge alla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. La quale dovrebbe essere l’authority unica depositaria di ogni potere su quel territorio.

Insostituibili competenze urbanistiche e gestionali
In realtà dopo i 200 articoli di Cederna, partiti nel 1953, la prima traccia concreta e giuridica del sogno di un’Appia protetta la si ritrova nella cartografia coloratissima del PRG di Roma del 1965.
La rappresentazione è una macchia di colore verde acceso, zona N (verde pubblico), conferma grafica e giuridica del concetto di “cuneo verde fin dentro la città“ , che dalle ampie aree agricole tra Appia ed Ardeatina  va a restringersi in prossimità delle Mura Aureliane. Per puntare, infine, attraverso  la passeggiata archeologica ed i fori, al Campidoglio.
Nella carta di identità del Parco è preminente l’estensione: 3500 ha., oggi, e 4860 ha. qualora vengano accolte in Regione le espansioni previste dal Piano di Assetto.
Può un’area così estesa essere stralciata totalmente dal resto della città senza riconoscere ai Governi locali, comunali e regionali, per quanto non amati, alcun diritto di parola?
Quale potere centrale potrebbe oggi eradicare le potestà comunali e regionali in modo assoluto, se non con atti di imperio inimmaginabili, su estensioni così vaste e fortemente interferenti con la vita urbana.
Noi auspichiamo un Parco archeologico nazionale. Ma l’auspicio dovrà comunque un giorno misurarsi con un territorio protetto oltremodo vasto ed in gran parte non demaniale. Quanto durerebbe questa gestazione? Quanto tempo impegnerebbe la trattativa con gli Enti locali, qui certamente in posizione fortemente dialettica?
Forse bisogna ringraziare che essi abbiano conferito molto tempo fa, (oggi non lo farebbero più) detti poteri all’organismo Parco per una gestione unitaria. Perlomeno in termini giuridici e di gestione. Di fatto resta ai Comuni un potere di indirizzo, che si manifesta anche con le nomine di Consiglieri e Presidenti.
Questa delicata trama dalla quale è nata comunque una gestione fortemente indirizzata alla tutela e quindi assai positiva, non può essere sconosciuta ai più accorti osservatori.
La stessa Soprintendenza Archeologica di Roma dovrebbe apprezzare questo presidio, che opera nella giusta direzione e che rafforza e facilita una progressione verso obiettivi, che sono oggettivamente difficili, in una società che da vent’anni privilegia gli interessi privati, annebbiando le ragioni degli interessi collettivi.

Attacchi ingenerosi ed ingiustificati
Eppure sono continui gli strali all’Ente Parco a partire da quelle sue primarie competenze naturalistiche, giudicate inadeguate in un grande parco archeologico. Strali che vengono dal mondo della cultura e, a volte, anche da esponenti del MIBACT.
In occasione della sponsorizzazione della Società Autostrade, gli attacchi sono divenuti violenti, e alla concretezza di opere non più rimandabili si sono sostituite battaglie ideologiche, che hanno lasciato sul campo la miseria di una Antica via Appia sommersa dal frastuono delle auto, dalla loro invadenza e da mille pericoli. Ed ancora la vergogna dell’area protetta più famosa d’Italia senza percorsi, senza sentieri e senza cammini, ristretta alla sia pur magnifica passeggiata tra il Circo di Massenzio ed il GRA. Dopo il quale inizia lo spettacolo del basolato sconnesso, allagato, negletto, impercorribile per chilometri fino a Frattocchie. Disastri a cui si poteva finalmente porre rimedio, fatte le debite correzioni di rotta.
Ora, invece, rimangono solo rincrescimenti rispetto a sogni condivisi e purtroppo infranti.

Problemi urbanistici e politici complessi che devono avere un luogo di decisione condivisa
L’Archeologica ha fatto il suo mestiere in modo ammirevole. Anche con una visione urbanistica. Ma poteri urbanistici non ne ha.
E tutto questo quando al centro di tutto c’è un atto puramente urbanistico che si chiama Piano d’Assetto. E cioè un piano che va ben oltre gli aspetti prescrittivi del Piano Territoriale Paesistico, che anch'esso a sua volta va condiviso tra Stato e Regione.
Cederna stesso, quando nel 1993, fu unanimemente designato in Regione, quale Presidente del Parco dell’Appia (versione Legge dell’ 88), mi confidò che non capiva il Professor Adriano La Regina, allora ammirato e potente Soprintendente archeologico di Roma, quando asseriva che il Presidente del Parco dovesse essere un archeologo.
Vedeva, Cederna, con ogni evidenza la preminenza dei compiti  urbanistici, che erano presupposto indispensabile alla esistenza del Parco dell’Appia, da lui sognato e fortemente voluto.
Del resto La Regina, diventato a sua volta apprezzato Presidente del Parco, l’ultimo, non volle in nulla discostarsi dagli indirizzi di governo, consolidatisi negli anni precedenti.
Compiti urbanistici che ho ritrovato in tanti gesti del Piano di assetto, gestito dai tecnici e dai consiglieri del Parco, ed adottato già nel 2002, (tuttora malauguratamente non approvato dalla Regione).
Compiti e conseguenti gesti importanti, che si osservano nella delocalizzazione concordata di 80 ha. di aree industriali. Quelle che assediano dall’Appia Nuova, che azzerano le vedute ed incombono fin sul basolato romano. E quelli, ivi compresi gli impianti sportivi, che si sono insinuati nel cuore dell’area protetta.
Nella protezione, regolamentazione e promozione delle attività agricole, che sono il paesaggio stesso dell'Appia insieme alle quinte urbane ed al vulcano laziale. Esse si estendono sul 50% del territorio.
Nell’esame di compatibilità della rete stradale esistente. Nell’esame della mobilità generale su strade tutte di competenza comunale. Nell’auspicio o meno di tunnel in grado di far sparire il traffico di attraversamento.
Negli espropri e nelle acquisizioni. Che sono notevoli e forse unici in un Paese che rifiuta oramai l’esproprio come forma di gestione territoriale. Il piano ha indicato plurimi e notevoli espropri ed acquisizioni. Assomando quelli attuati (Caffarella, Tor Marancia, Farnesiana, Torricola) a quelli previsti ed alle aree già nel pubblico demanio, si giunge a circa il 20% degli attuali 3500 ha.
Ed infine nella rete dei percorsi e della sentieristica.
I percorsi nel territorio dell’Appia sono la vera nota dolente. Ancora dopo 25 anni dal 1993, fuori dal selciato dell’Appia, quasi nessun altro percorso è aperto alla visita ed alla conoscenza del paesaggio antico dell’Appia . La eccezionalità del paesaggio non è percepibile dalla via stessa, se non in minima parte, essendo essa adagiata tra due sponde più alte. Un parco di tali dimensioni, sia esso archeologico, sia esso area protetta, non avrà mai vita se manca della irradiazione dei percorsi liberi e senza soluzione di continuità. Oserei dire che è questo il gesto urbanistico fondamentale. Realizzabile con opportuni minimi espropri, per restituire, come diceva Cederna, al godimento dei cittadini quella enorme area, dopo la rapina privatistica e privatizzante di decenni di insediamenti residenziali e produttivi, legittimi ed abusivi.
E ancora è stato significativo il gesto di additare i più grandi pericoli nella mancata acquisizione della tenuta della Farnesiana e di altre tenute ad alto rischio di privatizzazione. Privatizzazione e negazione del parco e del paesaggio insita nella trasformazione di antichi casali, sopravvissuti ed abbandonati, in ville di lusso, come avvenne per il casale della Giostra, a ridosso di Cecilia Metella.
Dove oggi si concede la visione dell’ altra faccia del monumento per gentile concessione di chi ivi abita e regna.
Vedo l'urbanistica anche e soprattutto in gesti che non sono stati previsti dallo stesso Piano di Assetto. E mi riferisco al contenimento dei giardini delle ville per lasciare almeno 50 metri di respiro ai due lati della antica via. La restituzione al demanio pubblico di monumenti oggi sequestrati in quella che chiamai la "città proibita della ville di lusso" .
Proibita  e cioè impenetrabile ai diritti dei cittadini. Non assoggettabile a regole minime di coesistenza con cotanto monumento. E qui si sono visti i limiti delle scelte politiche comunali e regionali, che  quei residenti hanno giudicato “intoccabili“. Al punto che non si è potuta prevedere la imposizione di ingressi alle ville (che affacciano sul delicato selciato antico), sul retro delle stesse, lì coinvogliando le auto con apposite stradine di servizio.

In questa contingenza difendere l’Ente Parco è l’unico modo per tenere in vita il grande progetto dell’Appia
Io credo, dunque, che noi tutti saremmo lieti un giorno di vedere lo Stato arrogarsi il diritto di creare un Parco nazionale Archeologico, magari esteso a tutto il percorso dell’ Appia fino a Brindisi.
Ma fino quando ciò non sarà, si ringrazino coloro che dalla politica locale, e siamo nell’88 e nel '97, seppero dare alle istanze della cultura una concreta risposta con la area protetta regionale.
Si prenda atto che tutti coloro che la hanno gestita nel tempo, e come tecnici e come Consiglieri e come Presidenti ed ora Commissari, sono stati all'altezza della situazione.
E che più di questo non si poteva fare. O meglio non potevano andare oltre i limiti della classe politica che ci governa.
Nel Parco dell’Appia, grazie a Dio, non ci si è racchiusi in una visione meramente naturalistica, come purtroppo è avvenuto in altre aree protette urbane e suburbane. Che pure sono state un atto politico ed urbanistico che ha messo Roma in grado di competere in assoluto con qualunque altra metropoli, ampliando l’offerta turistica in un sofisticato e vincente settore del turismo lento ed approfondito.
Ventiquattromila ettari di aree protette, mai apprezzate nel loro immenso potenziale, che oggi vivacchiano in una strategia perversa che le abbandona sotto un velo di oblio, accompagnato da riduttive politiche di gestioni meramente naturalistiche.
Una ragione in più per dare sostegno ai compiti ed alle funzioni dell’Ente Parco dell’Appia, affinché sia esempio positivo di gestione e di visione urbanistica per le altre irrinunciabili aree protette, tra le quali massima Veio.
Oreste Rutigliano

dicembre 2015
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