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ROMA E L'ARCHEOLOGIA TRADITA

Italia Nostra Roma
Pubblicato in Eventi in collaborazione · Giovedì 11 Lug 2024
Tags: ArcheologiaTradita
ROMA E L’ARCHEOLOGIA TRADITA
Giovedì 11 luglio, ore 11.00
Stampa Romana, Piazza della Torretta 36, Roma

FILIPPO COARELLI, archeologo e accademico dei Lincei, e ITALIA NOSTRA  incontrano la stampa. Di giubileo in giubileo la vita impossibile di  una città da riseppellire: Fulloniche (lavatoi), basiliche, musei e  mausolei, la Roma Antica in ostaggio.

Abbandonato ogni principio di archeologia preventiva, strumento unico  di possibile tutela d’emergenza, l’archeologia romana soccombe ormai  sempre più infelicemente al diktat automobilistico, in una città  strangolata dal traffico e, in questo momento storico, pervasa da una  sfrenata “voglia di cambiare volto”. Unica soluzione, da sempre  praticata, è alimentare i flussi automobilistici, invogliando l’uso  dell’auto attraverso la realizzazione di infrastrutture stradali,  parcheggi, aree di sosta e piazzette, sottopassi e sottopassini, sempre  insufficienti, nella rincorsa dell’opera pubblica decisiva. Interventi,  capaci di “distruggere” le preesistenze e di stravolgerne la  testimonianza storica con l’adozione di soluzioni “fuori contesto”, che  non tengono in alcun conto quei principi di conservazione e  valorizzazione, pur normati, considerati da decenni irrinunciabili per  ogni intervento, anche di natura urbanistica, ricadente su siti e beni  di valenza archeologica.

Sul Lungotevere di Castel Sant’Angelo è in corso la realizzazione di  un sottopasso, il quale dovrebbe liberare dagli autoveicoli piazza Pia,  da cui ha inizio via della Conciliazione ed il tunnel davanti  all’Ospedale Santo Spirito. I preliminari di un’imponente opera di scavo  hanno messo in luce i resti di una “fullonica” – un opificio destinato  al lavaggio dei panni e delle toghe, un’antica “lavanderia” del II sec.  d. C. Si è deciso di smontarne le enormi otri, le cisterne, le murature,  i pavimenti e trasportarli con identica ricostruzione in un’area più  lontana, che non crei fastidio al nuovo tunnel. Forse sarebbe bastato  farlo passare ad una quota al di sotto dello strato archeologico,  com’era buona pratica di qualche tempo fa. Forse sarebbe stato opportuno  valorizzarne il sito lì, nel luogo accanto al Tevere, dove ha avuto la  sua ragion d’essere, con le sue strutture idrauliche, com’era appunto  l’unica pratica archeologica che abbia senso.

Ugualmente, non pare destare perplessità lo smontaggio di un intero  isolato d’età augusteo giacente sotto i selciati di piazza Venezia e  ricomposto, forse, alla stessa quota su di un solettone di calcestruzzo  armato per la realizzazione di una stazione/museo della metropolitana.  Oppure i muri di un’antica stalla che ospitava i corsieri del grande  Circo Massimo a via Giulia, per far posto ad un giardinetto di  quartiere.

Ancor più paradossale è il caso del Templum Gentis Flaviae, una  stupefacente struttura sommersa appena sotto l’area di sosta compresa  tra piazza della Repubblica, via Parigi, via Emanuele Orlando e la  facciata del Planetarium, dove sono in corso alcuni lavori di  sistemazione del parcheggio. Lì sotto, a pochi centimetri dalla  superficie dell’asfalto, si trova una delle più importanti architetture  di Roma: il mausoleo con le spoglie degli imperatori Flavi. Da  quell’area proviene l’enorme testa di Tito ritrovata nel 1872 durante i  lavori di fondazione del Ministero delle Finanze. Più volte Italia  Nostra, insieme all’archeologo Filippo Coarelli, ha fatto presente  l’opportunità di un’indagine accurata degli strati archeologici. Il più  grande conoscitore di archeologia della città ha infatti segnalato la  necessità di completarne le conoscenze e, attraverso una fase di studio,  trovare una sistemazione più congeniale, che consenta qualcosa di più  del semplice parcheggio.

Ma questa panoramica delle criticità archeologiche capitoline non  sarebbe completa senza citare l’ultimo intervento: il riallestimento  delle colonne su due ordini sovrapposti, con la ricostruzione di parte  del grande architrave che sosteneva l’ordine superiore del colonnato  della Basilica Ulpia nel Foro di Traiano e la realizzazione di tre  gradini in marmo giallo antico che conducevano alla basilica stessa.  Intervento che lascia perplessi per il modo in cui è avvenuto e che  rischia di trasformare le archeologie dell’antica Roma in un grande Luna  Park.

Il nostro tempo, insomma, segna l’enorme e forse incolmabile distanza  tra una città affascinata dal suo passato, quella dello scorso secolo, e  la città odierna, che infastidita dalle archeologie, seppure oggi come  beni culturali unica risorsa economica dell’intera città, pratica la  loro distruzione. Oppure ritiene opportuno smontare, ricostruire,  trasferire e decontestualizzare a piacimento senza interrogarsi sulla  correttezza di questi procedimenti.




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