ROMA E L'ARCHEOLOGIA TRADITA
ROMA E L’ARCHEOLOGIA TRADITA
Giovedì 11 luglio, ore 11.00
Stampa Romana, Piazza della Torretta 36, Roma
FILIPPO COARELLI, archeologo e accademico dei Lincei, e ITALIA NOSTRA incontrano la stampa. Di giubileo in giubileo la vita impossibile di una città da riseppellire: Fulloniche (lavatoi), basiliche, musei e mausolei, la Roma Antica in ostaggio.
Abbandonato ogni principio di archeologia preventiva, strumento unico di possibile tutela d’emergenza, l’archeologia romana soccombe ormai sempre più infelicemente al diktat automobilistico, in una città strangolata dal traffico e, in questo momento storico, pervasa da una sfrenata “voglia di cambiare volto”. Unica soluzione, da sempre praticata, è alimentare i flussi automobilistici, invogliando l’uso dell’auto attraverso la realizzazione di infrastrutture stradali, parcheggi, aree di sosta e piazzette, sottopassi e sottopassini, sempre insufficienti, nella rincorsa dell’opera pubblica decisiva. Interventi, capaci di “distruggere” le preesistenze e di stravolgerne la testimonianza storica con l’adozione di soluzioni “fuori contesto”, che non tengono in alcun conto quei principi di conservazione e valorizzazione, pur normati, considerati da decenni irrinunciabili per ogni intervento, anche di natura urbanistica, ricadente su siti e beni di valenza archeologica.
Sul Lungotevere di Castel Sant’Angelo è in corso la realizzazione di un sottopasso, il quale dovrebbe liberare dagli autoveicoli piazza Pia, da cui ha inizio via della Conciliazione ed il tunnel davanti all’Ospedale Santo Spirito. I preliminari di un’imponente opera di scavo hanno messo in luce i resti di una “fullonica” – un opificio destinato al lavaggio dei panni e delle toghe, un’antica “lavanderia” del II sec. d. C. Si è deciso di smontarne le enormi otri, le cisterne, le murature, i pavimenti e trasportarli con identica ricostruzione in un’area più lontana, che non crei fastidio al nuovo tunnel. Forse sarebbe bastato farlo passare ad una quota al di sotto dello strato archeologico, com’era buona pratica di qualche tempo fa. Forse sarebbe stato opportuno valorizzarne il sito lì, nel luogo accanto al Tevere, dove ha avuto la sua ragion d’essere, con le sue strutture idrauliche, com’era appunto l’unica pratica archeologica che abbia senso.
Ugualmente, non pare destare perplessità lo smontaggio di un intero isolato d’età augusteo giacente sotto i selciati di piazza Venezia e ricomposto, forse, alla stessa quota su di un solettone di calcestruzzo armato per la realizzazione di una stazione/museo della metropolitana. Oppure i muri di un’antica stalla che ospitava i corsieri del grande Circo Massimo a via Giulia, per far posto ad un giardinetto di quartiere.
Ancor più paradossale è il caso del Templum Gentis Flaviae, una stupefacente struttura sommersa appena sotto l’area di sosta compresa tra piazza della Repubblica, via Parigi, via Emanuele Orlando e la facciata del Planetarium, dove sono in corso alcuni lavori di sistemazione del parcheggio. Lì sotto, a pochi centimetri dalla superficie dell’asfalto, si trova una delle più importanti architetture di Roma: il mausoleo con le spoglie degli imperatori Flavi. Da quell’area proviene l’enorme testa di Tito ritrovata nel 1872 durante i lavori di fondazione del Ministero delle Finanze. Più volte Italia Nostra, insieme all’archeologo Filippo Coarelli, ha fatto presente l’opportunità di un’indagine accurata degli strati archeologici. Il più grande conoscitore di archeologia della città ha infatti segnalato la necessità di completarne le conoscenze e, attraverso una fase di studio, trovare una sistemazione più congeniale, che consenta qualcosa di più del semplice parcheggio.
Ma questa panoramica delle criticità archeologiche capitoline non sarebbe completa senza citare l’ultimo intervento: il riallestimento delle colonne su due ordini sovrapposti, con la ricostruzione di parte del grande architrave che sosteneva l’ordine superiore del colonnato della Basilica Ulpia nel Foro di Traiano e la realizzazione di tre gradini in marmo giallo antico che conducevano alla basilica stessa. Intervento che lascia perplessi per il modo in cui è avvenuto e che rischia di trasformare le archeologie dell’antica Roma in un grande Luna Park.
Il nostro tempo, insomma, segna l’enorme e forse incolmabile distanza tra una città affascinata dal suo passato, quella dello scorso secolo, e la città odierna, che infastidita dalle archeologie, seppure oggi come beni culturali unica risorsa economica dell’intera città, pratica la loro distruzione. Oppure ritiene opportuno smontare, ricostruire, trasferire e decontestualizzare a piacimento senza interrogarsi sulla correttezza di questi procedimenti.