LO STADIO FLAMINIO OPERA DI ANTONIO E PIERLUIGI NERVI VERRÀ “RIDOTTO IN CENERI”? DIVIETO DI TRANSITO ASSOLUTO
Immagine tratta dal sito "Google Earth"
Il celebre film, il cui protagonista “ricomincia da tre” si scontra con l’erraticità delle decisioni dei governanti romani che, invece, ricominciano da zero.
Lo stadio Flaminio, illustre opera degli anni ’60 di Antonio e Pierluigi Nervi, deve seguire la strada virtuosa già impostata: il restauro conservativo finanziato da CDP nel capitolo del Credito Sportivo e dato in seguito in gestione, sempre con vocazione sportiva, a Sport e Salute SpA.
L’emendamento “sbloccastadi” (ad usum delphini?) che ritiene indegni i vincoli sull’architettura contemporanea è quanto di più oscurantista ed opportunista che sia stato di recente partorito. Ma nessun amministratore al mondo è obbligato a farlo proprio.
Demolire lo Stadio Flaminio invece di trovare una soluzione urbanistica moderna e realizzabile per delocalizzare lo Stadio della Roma da Tor di Valle è semplicemente ridicolo.
Qualsiasi sia il pensiero riduttivo e di fede calcistica dell’estensore dell’emendamento e chi gli va dietro senza il lume della ragione e del concetto di salvaguardia del patrimonio di eccellenza, sappia che è in aperta contraddizione con il pensiero della cultura architettonica nazionale ed internazionale. Fosse anche il pensiero di un noto e fino ad ora stimato architetto di grande fama.
La strada della demolizione dell’opera d’arte “Stadio Flaminio” e l’eventuale deprecabile “risorgimento dello Stadio della Roma sulle sue ceneri” è da respingere senza esitazioni.
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