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PNRR?… SÌ, GRAZIE MA CHE LO SI FACCIA SULLA FALSARIGA DEL PIANO DI RIVITALIZZAZIONE DEL CENTRO STORICO DI BOLOGNA DEL 1969

Italia Nostra Roma
Vista aerea del Centro Storico di Bologna (fonte Google Earth)

I recenti incentivi della Comunità Europea e del Governo a favore del rilancio del settore edilizio in Italia, per come sono stati concepiti, rischiano di essere una bomba ad orologeria per il nostro patrimonio, piuttosto che un qualcosa teso a migliorare la nostra economia, le nostre città, e l’ambiente.
Eppure in Italia basterebbe fare tesoro degli esempi virtuosi che, in un passato per nulla remoto, hanno tracciato la strada maestra per poter usare in maniera saggia i fondi a disposizione.
Se questo non bastasse, alle porte dell’Italia esiste un esempio straordinario di rigenerazione Urbana, Le Plessis-Robinson nella periferia Sud-Ovest di  Parigi [1] che mostra come, sapendo fare gli investimenti giusti e sapendo mettere l’ideologia da parte, si possano mettere in atto delle “rigenerazioni” radicali dei quartieri criminogeni realizzati nel secondo dopoguerra in nome della speculazione edilizia e dell’ideologia LeCorbuseriana.
Quel modello urbanistico, unito a delle leggi e strumenti italianissimi, concepiti ai primi del Novecento e, addirittura, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, potrebbero essere la soluzione a tutte le problematiche che, apparentemente solo a fin di slogan, risultano essere al centro dei programmi di Rigenerazione Urbana, di PNRR e dei vari bonus edilizi 110%.
Nel testo cui rimando con questo abstract viene accuratamente spiegato come e perché quelle norme, oggi più che mai, dovrebbero esser prese seriamente in considerazione per il bene delle nostre città, non solo per i centri storici ma anche e soprattutto per le periferie.
La conoscenza di certi strumenti, di certe leggi e di certi modelli, ne sono certo, troverebbe il gradimento di tutti coloro i quali operano nel settore, offrendo loro un approccio del tutto nuovo al modo di intervenire sulla città… proteggendo al contempo il nostro patrimonio.

«Gli Europei hanno il dovere, sia dal punto di vista sociale che economico, di salvaguardare il loro patrimonio architettonico, bene insostituibile che va rapidamente scomparendo. La vita sociale e comunitaria meglio salvaguardata negli edifici restaurati che nelle nuove costruzioni; inoltre, i costi e le incidenze sociali del restauro, confrontati con quelli delle nuove costruzioni, potrebbero costituire ulteriore argomento in favore del restauro  [2] ».

In molte occasioni [3a - 3b - 3c - 3d - 3e - 3f] ho sostenuto che, piuttosto che continuare a sperperare denaro in interventi “rigenerativi” farlocchi, l’Italia dovrebbe puntare sui Piani di Recupero, così come concepiti dalla Legge 47/78 della Regione Emilia Romagna [4], estendendo il campo di azione su tutte le immonde periferie, realizzate dal dopoguerra ad oggi, dove risulta necessario operare una rigenerazione radicale che preveda una graduale sostituzione dell’edificato spersonalizzante ed energivoro, con dei veri e propri quartieri sostenibili, pullulanti di vita.

È bene ricordare che, se l’Emilia Romagna fu l’unica regione a legiferare entro i termini imposti dalla Legge 457/78 fu perché il Comune di Bologna, a partire dal 1960-63, aveva avviato un approfondito studio per il ripristino” o “risanamento conservativo del centro storicoche portò all’approvazione del Piano Regolatore Generale per il Centro Storico del 1969 e il PEEP del 1973: piani particolareggiati, di iniziativa pubblica, per l'attuazione del piano per la conservazione del centro storico, dei piani geniali e lungimiranti che funsero da falsariga per la straordinaria LR 47/78.

Quei piani e quella Legge Regionale rappresentano un precedente attualissimo che, mai come oggi, necessiterebbe di essere ripreso in considerazione da parte di chi legiferi. Quei piani e quella Legge, infatti, ci insegnano quali debbano essere i reali obiettivi, come perseguirli e quali possano essere le conseguenze di passi sbagliati… tutte cose che emersero nel corso del Secondo Simposio organizzato dal Consiglio d'Europa, tenutosi a Bologna dal 22 al 26 ottobre 1974, e che vennero riassunte in un prezioso testo, a firma di Giovanni Alessandri, che ho ritrovato tra le mie scartoffie e che, a vostro beneficio, riporto integralmente di seguito.

Evidentemente nei primi anni ’70, quando l’economia non era ancora stata drogata dal consumismo e dall’economia neoliberista, quando gli Stati sovrani battevano moneta propria e la globalizzazione non aveva ancora umiliato le economie locali, anche il Consiglio d’Europa e lo Stato italiano promuovevano cose sagge, mentre le amministrazioni comunali virtuose facevano cose egregie.

Oggi invece accade che, grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, siano rispuntati fuori dal cilindro magico degli spreconi italiani il Ponte sullo Stretto [5] lo Stadio del Nuoto di Calatrava a Tor Vergata [6] e tante altre inutili amenità [7] che piuttosto che rilanciare l’economia nazionale e migliorare il territorio e l’ambiente, andranno a foraggiare solo ed esclusivamente i soliti noti, senza apportare alcuna miglioria al Paese, semmai impoverendolo ulteriormente.

Il Recovery Fund prima e del PNRR poi, avrebbero potuto segnare una svolta sensazionale, a livello economico, culturale, sociale ed ambientale per il nostro Paese ma, come ho detto, il presunto “governo dei migliori” ha preferito puntare sulla folle “transizione digitale” e sulla presunta “transizione ecologia”, legiferando a favore dei propri burattinai, piuttosto che negli interessi del Paese e dell’ambiente.

Grazie alla presunta “transizione ecologica”, infatti, siamo stati in grado di gettare alle ortiche milioni di Euro per fare invadere le città da bici e monopattini elettrici, le cui batterie e il cui sistema di ricarica non ha nulla di ecologico. Sempre grazie alla presunta “transizione ecologica”, il paesaggio italiano sta assistendo ad una graduale sostituzione dei propri meravigliosi campi coltivati con ettari di pannelli fotovoltaici e foreste di pale eoliche… però ci interroghiamo sul perché avvengano le alluvioni e la falda freatica si impoverisca. Sempre la transizione ecologica sta portando il nostro patrimonio edilizio ad essere impacchettato all’interno di ridicoli pannelli isolanti – dalla vita breve e perfino infiammabili – che volano via alla prima tempesta dovuta, ahimè, al cambio climatico.

Grazie all’ossessione per la “transizione digitale” invece, il nostro patrimonio storico artistico ha visto aggiungersi al danno la beffa: in campo artistico-culturale stiamo infatti assistendo ad un vergognoso sperpero di milioni per la realizzazione di ridicole ricostruzioni virtuali – erronee e fuorvianti – che impediscono l’accantonamento di fondi necessari al restauro ed alla eventuale esposizione di veri reperti [8] .

Tornando alla “transizione ecologica” ed al patrimonio edilizio, come si è accennato, lo sperpero che rischia di mettere in ginocchio definitivamente il nostro Paese si chiama “Superbonus 110%”. Una finta mossa a favore dei cittadini che, nella realtà è stato l’ennesimo regalo alle industrie produttrici di soluzioni pseudo ecologiche per l’efficientamento energetico, oltre che alle Banche, Assicurazioni e Società Finanziarie coinvolte nella vergognosa compravendita dei crediti d’imposta… un meccanismo perverso che, molto presto, ricadrà come un macigno sui contribuenti e sullo Stato… senza contare l’attacco, neppure celato, verso la proprietà privata, pilotato dalla UE in nome della “transizione ecologica[9].

Fra i tanti articoli a sostengo della critica appena espressa, quello intitolato “Superbonus 110%, l’idea era favorire chi ha pochi soldi ma credo sia successo il contrario [10]” – pubblicato pochi giorni fa su “Il Fatto Quotidiano” – denuncia senza mezzi termini il pressappochismo dei legislatori e, se vogliamo, anche la loro malafede!

«Fare il 110% di errori pareva difficile, ma ci siamo riusciti. Il provvedimento per rilanciare l’edilizia del Paese prometteva che diverse opere venissero pagate dallo Stato e un premio del 10 per cento a chi si avventurava in una ristrutturazione. Il vantaggio per lo Stato era l’efficientamento energetico. Pagava Pantalone coi soldi che graveranno negli anni sui giovani. Come se in Italia fossimo ricchi sfondati. […].

Non contenti di ciò, si è permesso a un cittadino di ristrutturare fino a 4 immobili. Conosco una coppia proprietaria di una palazzina di 8 appartamenti che, contabilizzandone 4 al marito e 4 alla moglie, ha avuto la bellezza di circa un milione e seicentomila euro […]
Visto che la spesa lievitava si è tentato di limitare i danni con una burocrazia monstre […]. Provvedimenti si sono avvicendati per porre limiti con un effetto strano. […] L’effetto è stato quello di favorire un aumento enorme dei prezzi.

[…]Visto che si parla di soldi pubblici i delinquenti e le mafie si sono gettate a capofitto, cercando di intercettare il flusso di denaro che è ingente. […] Sono nate società edili ad hoc e tante persone, che non avevano mai visto una cazzuola, si sono improvvisati muratori.

[…] Il flusso di denaro viene fornito dalle banche che, negli anni, sconteranno le tasse dai crediti acquistati. Lo Stato quindi a breve pare vincitore, in quanto così facendo ha drogato il mercato, ottiene benefici per aumento dell’Iva e dell’Irpef, ma alla lunga dovrà pagare, con gli interessi, cifre molto rilevanti.

[…] Soprattutto occorre tornare a una certa serietà, per cui se si vuole incentivare l’edilizia si devono varare provvedimenti che durino almeno dieci anni, che abbiano poca burocrazia e che diano un ritorno di bonus ragionevole e compatibile con le finanze statali».

Se ciò che denuncia il Fatto Quotidiano è vero, come lo è, come dovrebbe orientarsi lo Stato?

Come ho detto in apertura, lo strumento del Piani di Recupero – soprattutto la macchina operativa progettata dalla Regione Emilia Romagna nel 1978 – sarebbe il modo migliore per incentivare l’edilizia e migliorare le nostre città, non solo nei centri storici, ma anche in periferia, mettendo in atto dei programmi di “ristrutturazione urbanistica” atti a sostituire gradualmente le disumane periferie novecentesche, ponendo fine alla loro assoluta insostenibilità ambientale e sociale.

Per poter mettere in pratica un progetto del genere non occorrerebbe reinventare la ruota, come amano fare i progettisti contemporanei e i nostri legislatori, ma semplicemente riadottare, o meglio riadattare, leggi e strumenti del nostro recente passato.
 
In numerose occasioni ho ricordato come, ai primi del Novecento, funzionasse la “macchina perfetta” dell’ICP, affiancato dall’Unione Edilizia Nazionale e dal Comitato Centrale Edilizio [11], prima che il Governo Fascista non le mettesse fine; ma c’è anche un altro precedente, molto più recente, che certamente aveva tratto ispirazione da quella “macchina perfetta” e che poi, grazie alla sua comprovata validità, è divenuto il modello per la virtuosa Legge Regionale 47/78 dell’Emilia Romagna, ovvero il Piano per la Rivitalizzazione del Centro Storico di Bologna. Un’opera perfetta che, grazie ai fondi del PNRR, dovrebbe fungere da modello su tutto il territorio nazionale.
 
Quello che segue è l’eccellente resoconto del Simposio del 1974 scritto da Giovanni Alessandri. Il testo racconta dell’incredibile lungimiranza di chi operò a quell’epoca, rifacendosi perfino alle politiche abitative del Comune, a partire dal XI secolo, a favore degli “scolari dello Studio”, fonte principale di ricchezza per la città.
 
Quel testo ci mostra altresì come, nella Bologna a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, ovvero in un’epoca di grandissima speculazione edilizia, non solo gli amministratori e i professionisti furono in grado di ridimensionare le folli previsioni del Piano Regolatore del 1958 ma, soprattutto, ebbero il coraggio – ottimamente ripagato – di puntare sul restauro e rivitalizzazione del centro storico, dimostrando quanto questa politica economica risultasse più vantaggiosa per l’intera comunità… nonostante le critiche prive di fondamento poste dal rappresentante francese al simposio, più interessato, manco a dirlo, alle nuove costruzioni.
 
Gli altissimi concetti di carattere sociale, politico ed economico, oltre che urbanistico e architettonico, espressi in quei documenti, mostrano inequivocabilmente quanto, oggi più che mai, risulterebbe di fondamentale importanza restaurare il nostro patrimonio storico-architettonico, recuperandolo insieme con l’intero contesto urbano e le sue tante funzioni, sempre più minacciate da un processo di gentrificazione sociale ed economica, da molti definito “Disneyficazione”, figlio di una politica neoliberista lontana anni luce dalla saggezza di chi, solo 48 anni fa, mostrava di possedere una cultura ed una sensibilità decisamente più evolute e sofisticate.
 
Il resoconto di quel simposio riportato da Alessandri, dovrebbe essere consegnato a tutti i nostri legislatori e amministratori pubblici, con l’obbligo immediato di lettura integrale sia del testo che delle note a margine, sì da rimettere in discussione il modo in cui, per fretta e/o per opportunismo, si stanno per sperperare le immani somme messe a disposizione per il PNRR.
 
Una volta letto il testo di Alessandri, provate ad immaginare come potrebbero migliorare le nostre città e l’economia nazionale, se i fondi del PNRR e quelli del Superbonus 110% venissero spesi per mettere in atto dei Piani di Recupero di tutti i nostri centri storici ed una Rigenerazione Urbana di tutte le nostre orribili periferie … basterebbe riadattare quel piano e quelle norme alle nuove esigenze, … come dissero i convenuti al Simposio del 1974, occorre “rompere il circolo vizioso di uno sviluppo urbano che rende sempre più disumane le città. Non si tratta di utopia, basterebbe solo un po’ la buona volontà, visto che ci sono tanti miliardi a disposizione!
 
LA RIVITALIZZAZIONE DEL CENTRO STORICO DI BOLOGNA
di Giovanni Alessandri

A Bologna, nella mozione conclusiva del secondo simposio organizzato dal Consiglio d'Europa [12] dal 22 al 26 ottobre 1974 nel quadro delle iniziative per l'Anno europeo del patrimonio architettonico 1975, è stato ribadito il principio sottolineato nel primo simposio, ad Edimburgo, nel gennaio 1974: «Gli Europei hanno il dovere, sia dal punto di vista sociale che economico, di salvaguardare il loro patrimonio architettonico, bene insostituibile che va rapidamente scomparendo. La vita sociale e comunitaria appare meglio salvaguardata negli edifici restaurati che nelle nuove costruzioni; inoltre, i costi e le incidenze sociali del restauro, confrontati con quelli delle nuove costruzioni, potrebbero costituire ulteriore argomento in favore del restauro».

La scelta di Bologna come sede di questo secondo simposio, al quale hanno partecipato un centinaio di ospiti dei diciassette Paesi membri del Consiglio più alcuni osservatori dell'Europa orientale, è motivata dall'accuratissimo piano per il suo centro storico, risultato di dieci anni di studio, e che, secondo il parere del Consiglio stesso, «applica in modo particolarmente rigoroso» il «principio della conservazione integrata dei centri storici».
 
IL PROBLEMA DEI CENTRI STORICI
I centri storici – identificati con le parti più antiche della città –, nella diffusa prassi urbanistica che considera lusso superfluo la preoccupazione dell'ambiente e della “qualità di vita” per tutti i cittadini, appaiono o abbandonati a progressivo degrado, o deplorevolmente manomessi in massicce operazioni di “restauro che riducono l'ambiente antico a pura apparenza esterna a servizio di attività terziarie (uffici professionali, banche, sedi di grandi società, ecc.) sempre più congestionanti, o destinati a residenza per ceti privilegiati della popolazione. I costi sociali ed economici che conseguono a tali operazioni sono l'incremento dello sviluppo anarchico delle grandi città, l'aggravio dei bilanci pubblici –  per le maggiori distanze di impianto delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria – , e la distruzione a raggio sempre più vasto del verde agricolo, per l'espandersi delle periferie anonime, carenti di servizi adeguati e mal collegate con le altre parti della città, costruite per accogliere i ceti a medio e basso reddito sistematicamente espulsi dai centri storici.
 
I centri storici costituiscono le preesistenze fisiche di un dialogo tuttora in corso tra l'uomo e lo scenario della sua vita: contesto di strutture urbanistico-architettoniche, stratificate nel tempo, che vivono nella vita totale della città al punto che qualunque intervento inteso ad isolare da quel contesto un edificio ritenuto particolarmente “significativo”, con demolizione e ricostruzione della cosiddetta edilizia minore, equivale a distaccare quell'edificio dalla vita e dargli sapore di cosa morta. Inoltre, perché un centro sia vivo bisogna che lo sia in permanenza e per tutti; e ciò implica conservazione delle componenti sociali ivi residenti e recupero di residenze di livello sociale variato oltre che scelta oculata delle attività da mantenervi, in funzione di una equilibrata ripartizione delle attività stesse fra centro storico e centri secondari dispersi nel resto dell'agglomerato.

Quanto l'animazione del centro storico sia legata alla presenza di residenti dei diversi ceti sociali in abitazioni integrate con uffici, commerci e servizi culturali si è avuto modo di constatarlo sia a Parigi, dove il ministro della Pianificazione territoriale cerca di scoraggiare le deroghe alle prescrizioni del 1943 che limitavano le superfici da trasformare da abitazioni in uffici e negozi, sia a Londra, dove si tenta di ripopolare la “city” diventata quasi deserta, con tendenza a spopolarsi ulteriormente, ridotta com'è a vivere unicamente d'una animazione diurna altamente congestionata. La conservazione della vitalità urbana comporta la possibilità per ogni uomo di ritrovarsi con altri uomini, responsabili, ciascuno in modo diverso, di una parte della civiltà.
 
Il simposio del Consiglio d'Europa ha inteso denunciare (linea che sarà ripresa nei futuri simposi a Krems in Austria nell'aprile prossimo e ad Amsterdam in ottobre) la stortura in atto in molte città europee dove si continua a dare priorità al rinnovo e alle costruzioni nuove mentre si trascura il recupero del patrimonio edilizio esistente secondo criteri storico-critici e in alternativa alla scelta della crescita indiscriminata delle città. In una lista di 44 progetti di intervento che fanno parte del programma europeo di realizzazioni esemplari vengono studiate situazioni che appaiono utili alla discussione dei modi di intervento nei centri storici.
 
IL PIANO DI RESTAURO DEL CENTRO STORICO DI BOLOGNA
1.  Nel 1958 era stato approvato il piano regolatore generale di Bologna che sanciva, tra l'altro, una indifferenziata espansione urbana senza alternative alla struttura monocentrica della città, un livello insufficiente di attrezzature e la previsione di un milione di abitanti. Nel 1962 veniva affrontato, con lo studio di alcune variazioni, il problema del nuovo piano regolatore: tra le varianti, una più ragionevole previsione di 550-600.000 abitanti.
 
Tra il 1960 e il 1963 veniva iniziato, con lo studio dell'ambiente storico della città, il discorso sul “ripristino” o “risanamento conservativo del centro storico: si intendeva garantire nel tempo la continuità di quel tessuto urbano, mantenutosi quasi intatto malgrado poche superfetazioni recenti, che si era venuto strutturando in un processo reso unitario dalla costanza di modi e stile del vivere e dell'operare, e che costituiva ancora un punto di riferimento morale e culturale per tutti i bolognesi; v'era connessa l'intenzione di scoraggiare la speculazione sulle aree fabbricabili, di alleggerire l'amministrazione pubblica di abnormi e non giustificati costi di urbanizzazione e, soprattutto, di mantenere integra la struttura sociale risultante dalla presenza di componenti complementari dei vari ceti.
 
Nell'ambito del perimetro in cui il tessuto urbano della città antica si è conservato abbastanza completo, furono individuati dalle Commissioni urbanistiche dei Consigli di quartiere [13] tredici “comparti” urbanistici d'intervento, vere isole di edilizia degradata: la struttura edilizia prevalente risultò caratterizzata da un assetto assimilabile, oggi, alle case operaie, artigiane e mercantili, articolata in tipi di base e in associazioni tipologiche varie; le tipologie residenziali originarie furono individuate attraverso il rilievo diretto confrontato con la documentazione di archivio integrata con il metodo analogico; fonte preminente sono stati i “Libri delle case” (catasto descrittivo tenuto dal 1500 al 1700 e comprendente case e beni dell'Abbazia dei santi Nabore e Felice): vi si ritrovano pianta e assonometria delle singole case con numerose annotazioni sulle destinazioni d'uso, sui vicini, sugli spazi privati e pubblici.
 
Una categoria di tipi edilizi, su cui si articolava parte del tessuto abitativo urbano, era originariamente a sviluppo in profondità, con i due lati più lunghi ciechi e un lato-modulo di fronte minimo sulla strada, con due camere per piano, illuminate dall'esterno, e un blocco-scala per accedere ai singoli piani; vi abitava una sola famiglia, con attività artigiana o “fondaco” a piano-terra ed abitazione negli altri piani. Attualmente le strutture distributive interne sono state generalmente alterate con suddivisione, attraverso tramezzature, dell'unico alloggio in nuclei familiari diversi; i locali a piano-terra sono restati, in genere, adibiti ad attività artigianali o commerciali, o a magazzini; superfetazioni sono state attuate con aggiunte nei piani alti e a livello di cortili e di orti. Il ripristino, a livello tipologico-funzionale, intende applicare un metodo di ricomposizione delle singole unità, riferite all'insieme di appartenenza, ispirato a motivazioni di ordine culturale operativo coerente con l'attuale momento storico e perciò “reinterpretativo” dell'elemento casa in quanto costante aggregativa –  fisica e funzionale –  dell'architettura della città; lo standard abitativo e ipotizzato in 34 metri quadrati per abitante.
 
L'intenzione è di adeguare l'alloggio alle funzioni che gli sono proprie, esaltando, per contrapposizione, le funzioni integrative degli spazi collettivi, dei servizi comuni e delle attrezzature, nella visuale di un superamento dell'individualismo in una nuova, necessaria – anche se di sapore utopico allo stato attuale dello sviluppo sociale – concezione della socialità dell'uomo. Concezione non nuova, in assoluto, del carattere della vita urbana, visto che la si ritrova sostanzialmente nel quartiere stesso della città medievale con i suoi vasti spazi pubblici (chiesa e sagrato, mercato, piazza, municipio, ecc.).
 
Si concreto così il piano regolatore per il centro storico, adottato net 1969, che proponeva una reale alternativa alla indiscriminata espansione urbana con il recupero del centro storico alla prevalente funzione residenziale mista. Nel 1973 veniva adottato il piano PEEP (Piano per l'edilizia economico-popolare): piani particolareggiati, di iniziativa pubblica, per l'attuazione del piano per la conservazione del centro storico, concernenti i primi cinque comparti di intervento, con l'impiego di fondi per l'edilizia economico-popolare in applicazione della legge n. 865 del 1971 sulla casa.

Per le operazioni di risanamento l'amministrazione comunale aveva la scelta tra la via dell'esproprio e quella della utilizzazione dell'intervento privato attraverso convenzioni: è ricorsa a quest'ultima, riservandosi il ricorso alla prima, come esposto più oltre.
 
Va rilevato, a questo proposito, che l'articolo 16 della legge n. 865 sulla casa consente che nei centri storici si facciano espropriazioni solo per servizio pubblico, e quindi anche per l'edilizia economica e popolare che è servizio pubblico essendo attività esplicata da Enti pubblici, con pubblico danaro e in base a leggi dello Stato [14].
 
L'intervento di risanamento a Bologna viene realizzato attraverso convenzioni che consentono la partecipazione diretta dei privati proprietari: la formula adottata dal Consiglio comunale il 7 marzo 1973 è quella della convenzione venticinquennale per i proprietari che lo desiderino (con esclusione di qualsiasi società speculativa o ente); la partecipazione dei privati viene favorita attraverso mutui agevolati e garantiti dall'amministrazione comunale stessa, a patto che i proprietari di case in affitto si impegnino a mantenere gli inquilini anche a lavori eseguiti, a rispettare i progetti esecutivi approvati dal Comune e ad applicare un equo canone; per i proprietari residenti che sono in disagiate condizioni economiche, le agevolazioni del Comune possono giungere al finanziamento totale; per 25 anni il Comune ha diritto di prelazione nell'acquisto della casa; è previsto l'esproprio nei confronti di proprietari che vendano sottobanco la casa restaurata o anche di proprietari che non rispettino altre clausole della convenzione; il Comune si addossa l'onere delle case-albergo per la sistemazione temporanea degli abitanti dei singoli comparti nel corso dei lavori di ripristino.
 
Il primo intervento concreto – per quanto inteso come esperimento nella linea del riutilizzo e delle implicazioni che questo comporta – interessa il comparto San Leonardo nel quartiere Irnerio con modeste case di origine rinascimentale degradate in tuguri dietro facciate in discrete condizioni; su un'area spianata dai bombardamenti del periodo bellico, di proprietà comunale, sta sorgendo una casa-albergo dove, a partire dal gennaio prossimo, saranno temporaneamente ospitati gli inquilini delle abitazioni in zona San Leonardo man mano che le loro case saranno sottoposte a risanamento.
 
L'operazione-Centro è intesa anche a realizzare mini-appartamenti per studenti fuori-sede: d'intesa con l'Università degli studi si vorrebbe realizzare un piano a lungo termine che prevede l'acquisizione di grandi palazzi nobiliari nel centro storico, nell'ambito di una politica di riqualificazione e rinnovo delle attrezzature universitarie da estendere al reperimento di alloggi per gli studenti fuori-sede al fine di stroncare il mercato speculativo degli affittacamere [15]. Viene così riproposto il problema della collocazione dell'università rispetto

alla città, vale a dire del come esprimere una vita sociale nella quale studio e studente abbiano un inserimento ben preciso e niente affatto pleonastico. La scoperta della “vita” suppone la presenza nella città o almeno la relazione con la città (e soprattutto con la “grande città”, se si vuole evitare la “fagocitosi” della città da parte dell'università, cioè, in pratica, la devitalizzazione della città in quanta tale), con le sue attrezzature di agevole accesso, con la sua attività di cui ci si senta corresponsabili e con le sue opzioni offerte alla scelta responsabile [16].
 
2. Con il piano-programma comunale 1973-75 il Comune di Bologna ha avviato la realizzazione di una politica dei servizi e dei consumi sociali a supporto e complemento della politica della casa; premessa operativa è l'acquisizione da parte del Comune stesso di palazzi, complessi architettonici e soprattutto ex-conventi di cui è costellato il centro storico [17]: destinati ad essere utilizzati come “contenitori” di servizi sociali per il quartiere e la città. «il progetto di accogliere diverse attività sociali – osservava l'architetto Scannavini nella sua relazione al Simposio – , dalla scolastica alla ricreativa, dalla culturale a quella assistenziale, e di servizio di quartiere, in un unico complesso architettonico, riconoscendo negli spazi architettonici la vocazionalità intrinseca, oltre che superare il triste espediente di utilizzare comunque la disponibilità offerta da queste preesistenze, porta a compiere esperienze nuove nel campo del restauro attivo».
 
È in atto il restauro e la rifunzionalizzazione di un complesso architettonico in Via Pietralata; per altri complessi sono già pronti i progetti esecutivi.
 
La restituzione alla città antica della sua intrinseca efficienza funzionale prevede anche il decentramento dei “generatori di direzionalità, riconosciuti incompatibili con la struttura antica, mediante la creazione di nuove aree di sviluppo terziario esterne al nucleo antico.
 
Per la zona Nord (intesa, in un primo tempo, come zona di sviluppo residenziale, impiego e servizi per 100.000 abitanti), furono commissionati al giapponese Kenzo Tange ed al suo gruppo di lavoro una struttura direzionale (incarico del Comune di Bologna), il piano particolareggiato del distretto fieristico nell'ambito della stessa zona Nord (incarico dell'Ente

Finanziaria Fiere”) ed il progetto di un centro religioso sempre nell'ambito della zona Nord (incarico del card. Lercaro); le proposte elaborate dal gruppo Tange a partire dal maggio 1968 (in stretto contatto con i tecnici che parallelamente studiavano il nuovo piano regolatore generale) furono presentate all'”assemblea dei 70” dei comuni del piano intercomunale bolognese nell'aprile 1970: e in quella sede se ne ridimensionò la scala per non squilibrare l'insieme urbano.
 
3. Il tentativo di salvare la dimensione umana dell'ambiente viene integrato, a Bologna, da un corrispettivo sociale: l'assistenza agli anziani e all'infanzia.
 
Il problema degli anziani è stato affrontato scartando il ricovero in quei “parcheggi di attesa” che sono gli ospizi; è stato redatto un programma di mini-appartamenti destinati agli anziani nelle zone stesse in cui son sempre vissuti, in modo da dar loro la consapevolezza di non essere emarginati, ma presenti, attivi, autonomi; il Comune integra la pensione per i pensionati che vivono soli; i quartieri sono attrezzati di poliambulatori gratuiti per gli anziani (otto già funzionanti) che integrano l'assistenza mutualistica e sono affiancati da un Centro di assistenza domiciliare; gli anziani usufruiscono di tessera gratuita di circolazione sui trasporti urbani.
 
Sui più di 17.000 bambini bolognesi tra i 3 e i 6 anni, 13.300 frequentano la “scuola materna” o “dell'infanzia” (come si preferisce chiamarla) e vi restano sino all'ora di chiusura degli uffici e delle fabbriche; la refezione scolastica costa modestamente e per i bambini di famiglie a basso reddito è gratuita; la media di frequenza è del 76% ed il traguardo che s'è prefisso il Comune è dell'80%; molti degli edifici adibiti per le scuole dell'infanzia sono di non recente costruzione, ma riadattati, ristrutturati, trasformati da un gruppo di architetti e di tecnici comunali per l'arredo.
 
VALUTAZIONI
L'esperimento in corso a Bologna per la salvaguardia e rivitalizzazione del suo centro storico ha suscitato, ovviamente, nei convenuti al Simposio non soltanto sinceri consensi per lo sforzo di “rompere ii circolo vizioso di uno sviluppo urbano che rende sempre più disumane le città”, ma anche delle riserve. Ed era scontato: finalità dei simposi è di contribuire a far nascere ogni scelta di fondo nello sviluppo della città da un dibattito, il più esteso possibile, con gli ambienti direttamente interessati.
 
Da tutti i convenuti (e non soltanto per correttezza di ospiti) è stata favorevolmente sottolineata la validità dell'impegno assunto dall'Amministrazione bolognese di mantenere viventi gli edifici del suo centro antico non privandoli del loro intorno immediato che ne costituisce l'unità e non turbando l'equilibrio della stratificazione sociale ivi esistente: ogni edificio è ricco di ciò che gli sta accanto ed il contesto vive della continua presenza nella vita vissuta, particolarmente quando il contesto è quello di una “città cordiale” come Bologna, per “uomini di cuore” quali sono i bolognesi.
 
L'architetto danese J. Eckhardt-Hansen, illustrando gli analoghi interventi di salvaguardia in corso per Elsinore in Danimarca, ha messo in guardia i pianificatori bolognesi dalle conseguenze negative di un sistema di parcheggi per i residenti nel nucleo storico previsto “limitrofo al centro storico”, entro un raggio di 500-800 metri, e ha richiamato l'attenzione sull'orientamento della moderna struttura del commercio a favore dei grandi supermercati: sono elementi che potrebbero aver un loro peso nel declino sociale del nucleo storico.
 
L'architetto svizzero E. Martin, da parte sua, raffrontando i dati statistici sulla popolazione del centro storico bolognese del 1961 con quelli del 1971, ha rilevato una diminuzione di residenti addetti all'industria o all'artigianato ed un aumento di impiegati, quadri superiori e indipendenti; inoltre, la popolazione del centro storico stesso è diminuita, nel decennio, da 93.000 a 80.000 abitanti con abbassamento dell'indice di occupazione degli appartamenti a 0,69 persone per locale. Le cause di tali fenomeni possono essere diverse; si profila, tuttavia, l'interrogativo della rispondenza del modo di abitare nel centro storico – sia pure risanato, attrezzato e restaurato –  ai fabbisogni attuali, soprattutto futuri, di una popolazione in progressivo mutamento, che cerca di migliorare sotto tutti i punti di vista la sua condizione” e che forse non è più disposta ad accettare, per viverci, gli spazi angusti del vecchio ambiente urbano. Si potrà giungere a realizzare proficue compatibilità fra esigenze di salvaguardia socio-culturale, bisogni di mobilità e mutazioni dovute all'attuale dinamica?
 
Più fortemente critico, il francese J. Houlet si è dichiarato insoddisfatto del computo – a lui apparso generico e improbabile – presentato da Cervellati sui costi socio-economici del restauro rispetto a quelli di costruzione del nuovo in periferia [18] : Houlet non sembrava tener conto dei maggiori costi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria conseguenti alla crescita indiscriminata della città ed alla necessità di adeguamento dei servizi alle maggiori distanze delle periferie rispetto al centro già in gran parte attrezzato; inoltre non sembrava riflettere alla economicità insita in una migliore utilizzazione di risorse abitative altrimenti votate al degrado, fisico e sociale, e nella conservazione di destinazioni d'uso di zone urbane e delle stratificazioni sociali presenti in esse, che rimuovono i pericoli di ghetti interni per classi abbienti e periferici per emarginati, con tutti i conflitti che ne emergono.
 
Le sue critiche, però, si appuntavano soprattutto sulla convenzione venticinquennale tra Comune e privati proprietari per il restauro degli edifici di loro proprietà nel centro storico: egli tacciava di “contratto leonino” la convenzione stessa, perché imposta sotto la minaccia della “spada di Damocle della spoliazione” resa applicabile per l'articolo 16 della legge n. 865 sulla casa. Ma Houlet, che pure non ha mancato di stigmatizzare le manovre speculative sulle aree urbane che imperversano in Francia [19] non meno che da noi, non ha indicato altro mezzo per venirne a capo.
 
Che l'iniziativa del Comune di Bologna di rivitalizzare il centre storico della città non sia perfetta, è ammesso dagli stessi amministratori che ne hanno iniziato l'attuazione in via sperimentale. Va tuttavia dato alto, agli amministratori bolognesi, di aver “preso una iniziativa”, anche se questa ha bisogno di essere precisata e calibrata.
 
Chi ha avuto modo di confrontare previsioni ed esiti negli interventi di sistemazione urbana, sa bene che la logica della vita vissuta raramente – e molto spesso per caso – collima con la logica delle previsioni. Ciò non toglie che incombe su tutti l'impegno di contribuire a risolvere, nei limiti consentiti a ciascuno, i problemi della vita di tutti.




[12] Il Consiglio d'Europa, con sede a Strasburgo, organizza la cooperazione degli Stati europei nella maggior parte dei settori che interessano il Cittadino, eccettuata la difesa; primo in data tra gli organismi politici europei (1949), abbraccia con i suoi 17 Paesi membri la più estesa superficie e il campo di azione più vasto. Il Simposio di Bologna era stato previsto nel quadro dell'anno del Patrimonio architettonico europeo (1975) lanciato dal Consiglio stesso col motto «un futuro per il nostro passato» ed aveva come tema generale «il costo sociale della conservazione dei centri storici»; temi specifici: «Adattamento, attraverso l'individuazione dei bisogni della popolazione, delle case antiche all'attuale modo di abitare nel rispetto della struttura o della tipologia originale degli immobili» (relatore: C. de Angella, controrelatore: J. Eckhardt-Hansen); «Adattamento del patrimonio architettonico in vista della sua destinazione ad uso pubblico con finalità socio-culturali realizzato attraverso la partecipazione della popolazione» (relatore: R. Scannavini, controrelatore: E. Martin); «Compatibilità. delle condizioni economiche degli abitanti del centro storico in ordine sia al costo sociale del restauro che al costo delle realizzazioni di nuove zone di espansione» (relatore: P. L. Cervellati, controrelatore: J. Houlet).
[13]  Il nucleo più antico del centro storico di Bologna si andò formando intorno al 1000 sull'impianto a scacchiera di età romana: i caratteri di omogeneità e compattezza del nucleo storico più antico sembrano dovuti, almeno in parte, al fatto che, nel 1181, immediatamente dopo il grande incendio, si incominciò quel rinnovamento edilizio che avrebbe conferito a Bologna il tipico aspetto di città turrita: una distinzione tuttora valida tra la città vecchia, a planimetria poligonale, e le aree di espansione periferica e di suburbio è segnata dal viali dl circonvallazione sistemati all'esterno della terza cinta muraria urbana del 1380, abbattuta in gran parte nel 1901.
Amministrativamente Bologna è stata suddivisa nel 1964 in 18 quartieri, ognuno dei quali fa capo a un aggiunto del Sindaco, tramite tra il Comune e gli abitanti.
[14]  cfr. A. PREDIERI, L'espropriazione di immobili nei centri storici per l'edilizia residenziale pubblica secondo la Legge n. 865 del 1971, In Bologna: politica e metodologia del restauro, a cura di P. L. CERVELLATI e R. SCANNAVINI, ed. Il Mulino, Bologna 1973, pp. 41-90
[15]  È noto che lo “Studio” di Bologna, fondato da Irnerio e Pepone, data dall'anno 1088. Sin dagli inizi attrasse studenti sempre più numerosi, spesso ricchi che vi si recavano con servitori e cavalli e spendevano largamente. Il problema dell'alloggio fu perciò sempre molto incisivo: se il Comune – che nacque, crebbe e decadde con lo Studio – rispettò sempre i particolari privilegi di cui godevano gli “scolari” per i contratti di pensione e di affitto delle case, le università degli “scolari” dovettero affidare a dei “taxatores” da loro eletti la tutela loro, dei maestri e delle loro famiglie dalle varie forme di speculazione sull'alloggio e sul vitto.
[16] Si veda, su questo argomento: AA. VV., L'università in un mondo in trasformazione, in Il Mulino, n. 210, (luglio-agosto 1970), pp. 27-165
[17] Una caratteristica bolognese è la presenza rilevante di conventi nel centro storico: alcuni erano luogo di incontro per gli scolari delle “università” dei legisti e degli artisti, altri vere e proprie scuole fiorite all'interno delle comunità claustrali: molte scuole si configuravano come Studi Generali dei rispettivi Ordini, frequentati pure da altri religiosi, chierici e studenti laici. L'abbazia di San Procolo fu la più antica sede dell'università degli “scolari”: intorno alla metà del secolo XII si stabilì presso quella chiesa una comunità di benedettini; a partire dal secolo XIV l'università dei legisti si radunò in san Domenico e quella degli artisti in San Francesco; collegi universitari erano, tra altri: il Collegio spagnolo (1364) per “scolari” di famiglie nobili e cospicue di Spagna, il Collegio Gregoriano (1370) per giovani disagiati e volenterosi, il Collegio Ancarano (1414) per “scolari” poveri; con la costruzione dell'Archiginnasio (1563, architetto Il Terribilia, prolegato pontificio san Carlo Borromeo) furono riunite in quella sede le scuole degli artisti e dei legisti, mentre l'insegnamento teologico continuò a tenersi nel conventi; dopo l'esproprio napoleonico (1796) numerosi conventi vennero demanializzati o venduti a privati.
[18] Per quanto riguarda le nuove costruzioni in periferia: da recenti appalti, i costi risulterebbero di 218.000 lire al mq di superficie abitabile; se si considera una superficie di 30-35 mq per abitante, il costo pro capite sarebbe di 8,6 - 7,5 milioni; aggiungendo, per spese di urbanizzazione primaria (strade, fogne, luce, ecc.) e secondaria (scuole, verde, attrezzature sportive, ecc.), rispettivamente 400.000 e 600.000 lire per abitante, si hanno, per ogni cittadino insediato in periferia, 7,5 - 8,5 milioni. Per quanto invece concerne il restauro-risanamento: gli appalti più recenti danno 200.000 lire al mq; l’urbanizzazione primaria è già esistente e quella secondaria e da realizzare in parte.
[19]   Cfr. G. ALESSANDRI, La speculazione fondiaria nelle zone urbane, in Aggiornamenti Sociali, (maggio) 1974, pp. 345-354, rubr. 18


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