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L'Agro Romano

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L’AGRO ROMANO, AL DI LÀ DELLA GRANDE OPERAZIONE PARCHI REGIONALI SI SFALDA NELL’ABBANDONO DELLE MEMORIE STORICHE E NELL'ANARCHIA URBANISTICA

 
PREMESSE
Nel bollettino nazionale di Italia Nostra, oggi in sala, ci sono affermazioni gravi di un testimone e protagonista della archeologia a Roma nel dopoguerra.
Il Prof Lorenzo Quilici, il quale dichiara di fuggire dai suoi studi e dal suo agire nella campagna romana, per il troppo dolore di vederla così malamente trasformata ed abbandonata.
Richiama lo studio della Università La Sapienza dal quale risulta che nella fascia di 10 chilometri a partire dal Raccordo Anulare il 70 per cento dei monumenti, dei mausolei, delle tombe, delle ville suburbane, con i loro corredi di affreschi e mosaici è andato perduto o distrutto.
Qui non ci interessa trovare i responsabili, quanto ricercare formule e strumenti per salvare quanto è rimasto.
Roma Capitale, nella prospettiva immaginata da Cederna deve tentare di provvedere.
Nel tempo studi, atti e proposte sono stati avanzati dalle più autorevoli istituzioni per intervenire.
Dalla proposta di estendere la rilevazione scientifica delle preesistenze incardinata nella Carta dell’Agro a tutta la Provincia di Roma ed all’Area metropolitana per assicurarne una rigorosa tutela (di Italia Nostra ) alla proposta(della Soprintendenza archeologica guidata da Adriano La Regna) di imporre a tutto il residuo agro romano uno status urbanistico e di tutela particolari per legge: quale testimonianza irrinunciabile dei beni culturali della Nazione e della storia archeologica di Roma. Quanto ai Piani Paesistici, essi ci sono ma non hanno mai contato molto, poiché si aggirano con facilità, si tenta di disapplicarli in ogni modo, si evita ogni vigilanza sull’operato di privati e amministrazioni e giammai si applicano sanzioni.
 
LA RILEVANTE AZIONE DI TUTELA TRAMITE I PARCHI REGIONALI URBANI E SUBURBANI
Non si può dire però che nulla sia stato fatto.
Tutt’altro. In un processo durato 30 anni, nei quali le forze della cultura e della partecipazione popolare si sono confrontate variamente con piccoli e grandi interessi, Roma ha finito con il conquistare nonostante tutto, dei veri e propri primati civili.
Si iniziò negli anni 70 con la rivendicazione dei parchi di quartiere, si proseguì con la dichiarazione dell’esistenza di aree irrinunciabili per il loro valore storico-archeologico-ambientale (rifacendosi all’esempio dell’Appia).
Si giunse ad una prima operazione di tutela con vincoli e piani paesistici a metà degli anni 80 ed infine ad una coraggiosa operazione chiamata Variante preliminare di Salvaguardia nel 1991, che cancellava dal PRG del 62 le previsioni edificatorie in contrasto con le esigenza di tutela delle aree irrinunciabili per ricchezza storica , archeologica ed ambientale. Senza alcuna compensazione!
Venne poi, come momento più alto della coscienza collettiva di tutela, la Variante delle Certezze a metà degli anni 90’, con quale si ampliarono ulteriormente le aree da tutelare e le previsioni edilizie da cancellare.
Essa aprì la strada alla creazione di un sistema di Parchi regionali urbani e suburbani che si incuneano nel tessuto urbanistico e che si pongono in parte a corona della città.
Su 129.000 ettari di territorio il Comune di Roma può vantare oggi 28.500 ettari di Aree Protette.
Un primato difficilmente riscontrabile in Italia e all’estero, cui lo stesso Cederna non osava poter sperare.
Una operazione a favore della vita cittadina (cosa sarebbe il nostro vivere e il nostro traffico senza queste benefiche interruzioni del tessuto urbanistico!).
Una operazione culturale, di prospettiva, di avanguardia, compiuta a favore di tutti gli italiani che nelle memorie e nelle testimonianze della città simbolo del proprio paese non possono non trovare che motivo di orgoglio nazionale.
Una operazione culturale quanto meno europea, poiché nella campagna romana e nei suoi monumenti e nel suo paesaggio sono racchiuse, come si dice oggi, radici comuni per l’intera comunità del continente.
Si può oggi affermare che all’interno delle Mura Aureliane e nel cuore stesso della città antica gli auspici del nostro amico e maestro, ispiratore della legge per Roma capitale, non sono rimasti inascoltati e che lentamente si proceda a fare il giusto assicurando all’uso pubblico ed al pubblico godimento (come egli usava dire) beni quali Palazzo Rivaldi, Villa Blanc, Palazzo Barberini (per la parte sequestrata da mezzo secolo) etc., tutt’altro deve dirsi per le ricchezze dell’agro e della campagna romana.
Qui si assiste invece alla incapacità di gestire un patrimonio troppo vasto e grande per una amministrazione ordinaria.
I mali sono sempre nuovi e sempre più gravi

NEI PARCHI REGIONALI
Se nel 1996, ai tempi della Variante delle certezze, si poteva affermare che il 64 per cento del territorio del Comune di Roma pari a 80.000 H era oramai salvaguardato dalle aree protette e dalle severe norme tecniche per le zone agricole di PRG. Oggi tutto l’agro è invece terra di incertezze e campo di incursioni speculative.
All’interno dei Parchi stessi, la mancanza cronica di fondi impedisce di confrontarsi con logiche proprietarie assai invasive. Si tende ad esportare al loro interno l’urbanizzazione trasformando i vecchi casali in residenze o peggio in lussuose ville circondate da ettari di giardini privati. Si assediano i margini dei parchi con operazioni immobiliari che sfruttano con presenze troppo ravvicinate i valori fondiari creati dalla tutela di vaste aree di campagna, togliendo respiro al cuore delle aree protette.
La rincorsa alle abitazioni di campagna ed alla conseguente ricerca di sicurezza chiude per sempre passaggi storici, e molti “magici itinerari di paesaggio campestre e storico”.
Il famoso percorso che da Oriolo Romano scende alle sponde del lago di Bracciano, tra boschi di faggi, vaste praterie disabitate, casali antichi ed uliveti dentro la tenuta di Vicarello, (oggetto di battaglie memorabili contro inconcepibili lottizzazioni) è oggi impraticabile. ”Proprietari con la pistola” impediscono di percorrere le poderali della tenuta, esercitando con meschino egoismo la facoltà di escludere i visitatori su centinaia di ettari. Nel cuore del Parco di Bracciano.
E cosi a Veio, laddove prima della istituzione del parco si circolava liberamente su percorsi millenari tracciati dagli etruschi in cammino verso i guadi del Tevere, le recinzioni e gli ostacoli eretti nel frattempo, imprigionano le gambe e la fantasia di chi accorreva alla scoperta della terra etrusca conservatasi dentro i confini di Roma.
Non si affrontano in realtà in alcun modo politiche di collaborazione con i proprietari che vedano l’apertura dei fondi alla libera circolazione, per il godimento di beni che si è inteso tutelare, anche ed in particolar modo per arricchire la qualità della vita salutare e culturale dei cittadini.
Verrebbe da dire che se si continua così si è trattato di una operazione di mera apparenza.
Ma che dire di tutto il mondo della ruralità che si era imposto con le grandi bonifiche dell’agro tra fine ottocento e inizi del novecento che viene smantellato nella piena incoscienza ed insipienza da operatori pubblici e privati.
Strade storiche ampliate a dismisura, cippi che spariscono, casali che muoiono e crollano, abusivismo strisciante ed inarrestabile, anarchia pressoché assoluta nei Comuni contermini. Uso irresponsabile del cemento e dell’asfalto nella delicata trama del tessuto rurale. Iniziative spontanee di ogni tipo, dai depositi all’aperto, alle distese di automobili in vendita, dai capannoni prefabbricati dalle linee insultanti destinati ai servizi e depositi per l’agricoltura, alle rivendite di ogni tipo e dimensione lungo i bordi di strade nate per rimanere immerse nelle campagne. Questo è lo spettacolo usuale che corrompe ogni veduta sull’agro romano.
Poco importa salvare qualcosa a Roma se poi al di là dei suoi formali confini amministrativi, le pratiche di gestione urbanistica sono primordiali, assertive del diritto di costruire ovunque, di spezzare l’unità di comprensori meravigliosi, di modificare i confini di grandi tenute agricole, minandone la resistenza nel tempo nell’uso predestinato agricolo. Aprendo il territorio rurale a qualsivoglia iniziativa, anche la più brutale come quella di nuovi inutili insediamenti industriali.
Chi ricorda ancora la magnifica distesa agricola, racchiusa in una grande ansa del Tevere, quella ribattezzata dal PRG zona M2 dell’Autoporto di Ponte Galeria”, oggi cancellata sotto una urbanizzazione terziario-commerciale lungo l’asse Roma-Fiumicino? certamente pochi. Ma è uno dei più clamorosi esempi di distruzione delle ricchezze agricole e paesistiche donate inutilmente a questa città, che investendo in questo modo sta semplicemente dilapidando ricchezze irriproducibili.

NELL’AREA METROPOLITANA
Ma guardiamo oltre, a tutto l’agro romano della valle del Tevere, dai piedi dei monti Prenestini e dei Lucretili al mare.
Ora bisogna dirlo. La testarda rinuncia ad una pianificazione di area metropolitana, la rinuncia ad inglobare in un processo democratico di collaborazione i piccoli, spesso indifesi, Comuni posti a corona della Capitale sta producendo il logoramento e la vacuità per quella che era stata una operazione urbanistica certamente straordinaria: quella della variante delle certezze e dei Parchi regionali urbani e suburbani.
A Fiumicino l’urbanistica non tiene in nessun conto, e sono decenni, del sistema archeologico dei Porti Imperiali-Isola sacra-via Severiana-Ostia antica.
A Tivoli continua l’indegno assedio edilizio da nord est verso Villa Adriana e in tutta la piana dell’Aniene.
A Palestrina l’affaccio dal Museo archeologico nazionale di Palazzo Barberini e dalle zone archeologiche del santuario della Fortuna Primigenia verso la valle del Sacco è semplicemente orripilante. E non si riesce nemmeno a tutelare il più lungo tratto della Via Prenestina antica, arricchito in tempi moderni da una adiacente spettacolare alberata di platani.
Ai piedi dei monti Tiburtini e Prenestini giacciono dimenticati i ponti grandiosi degli acquedotti e quando si parla di parco storico- archeologico- paesaggistico occorre farlo sottovoce, per non irritare gli elettori che devono costruire ancora ville e villette.
A Ponte di Nona si sono consentiti immensi quartieri in piena campagna, senza linee su ferro, a ridosso di aree archeologiche e paesistiche che dovevano rimanere intoccabili.
Chi visita un casale, chi lo restaura entra quasi sempre in una stratificazione irriproducibile di storia e di testimonianze archeologiche, dall’antichità all’ottocento.
Ciononostante continuano a cadere abbandonati Casali famosi che hanno fatto la storia di intere plaghe delle aree consolari.
Nell’allegato, predisposto da Luigi Cherubini, consigliere di Italia Nostra, appassionato studioso dell’Agro Romano, sono citati a decine i nomi di Ponti, di Torri, di Casali antichi che hanno rappresentato per secoli la storia e la vita dell’agro romano.
Nulla è più sicuro nelle vaste plaghe della campagna romana.
Tutto è transitorio.
E cosi non si può continuare.
Tanto più quando con le recenti pratiche di gestione urbanistica nulla è più definitivo ed il proprietario spesso con calma in attesa dell’evento o della emergenza che lo immetterà nel circuito del “lotto continuo” provvede tranquillo alle bonifiche archeologiche. Demolire e far sparire per tempo le “preesistenze“ è un passo avanti per aver garantita un giorno l’edificabilità.
 
LA NOSTRA PROPOSTA
Ed ecco la nostra proposta per salvare, mantenere in vita e restaurare, usare e riusare nei modi più opportuni e produttivi di benessere fisico e psichico la ricchezza agricola che ci è stata tramandata, seconda per importanza solo al centro storico di Roma.
L’Italia è l’unico Paese a non aver istituito un Fondo Nazionale per l’acquisto delle terre, dei luoghi e degli immobili che la collettività intenda conservare in una visione organica volta ad assicurare la sopravvivenza di beni culturali ed ambientali omogenei. Volta a creare un demanio indisponibile, intestato alla Nazione e quindi a tutti i cittadini, destinato di volta alle coste più belle, ai castelli di una certa regione, ai boschi ed alle foreste più antichi e famosi.
L’Italia potrebbe iniziare proprio dall’Agro Romano.
La campagna romana è luogo di tesori abbandonati, occorre riscoprili, acquisirli, renderli utilizzabili e metterli in collegamento con quelli che i privati sanno gestire e conservare con cura e con avvedutezza. In un patto di collaborazione e di aiuti alla agricoltura ed alla sua sopravvivenza, nella prospettiva di diffondere sempre più la formula del consumo a Km 0.
L’Italia non può continuare a spendere gli aiuti europei fuori da un quadro di priorità di pubblico interesse:
  • tra queste al primo posto la conservazione, il restauro la manutenzione ed il riuso dei monumenti grandiosi della antichità, che lontani dallo sguardo dei più, e per questo ancor più preziosi, immersi quali sono nella solitudine e nel paesaggio più antico, si sfaldano sotto l’usura incessante del tempo.
Al secondo posto provvedimenti statali e regionali che forniscano aiuti alla agricoltura, secondo quanto suggerito dalle confederazioni agricole. Come fa ad esempio la Francia che da decenni sa difendere la propria agricoltura, che si fa sempre più delicato snodo della società economica moderna.
Oreste Rutigliano
📅 dicembre 2005
Per contatti
Italia Nostra Roma
+ 39 375 8497751
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